Artisti come Duchamp hanno indiscutibilmente ampliato la concezione e la definizione dell'arte. Nulla, dopo di lui, è stato più come prima, si potrebbe dire, anche se l'affermazione slitta nel banale.
Eppure, malgrado i Readymade di Duchamp e gli Objet trouvé surrealisti e tutta la sequela di arte/non arte, spesso incentrata sull'oggetto quotidiano, per decenni si è continuato a dipingere e, talvolta, a dipingere secondo i dettami dell'accademia.
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(Tamara de Lempica) |
Ripudiato, vilipeso, offeso, maltrattato... il quadro da parete, spesso ad olio, non è mai tramontato del tutto e una parte ancora significativa di artisti visivi ama farsi chiamare "pittore". D'altronde anche gli artisti underground, come il graffittaro Jean-Michel Basquiat, sono approdati agli acrilici su tela.
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(J-M. Basquiat) |
Cabrini e Solidago si dedicano a una sorta di bricolage che riprende la Combine painting (pittura combinata) di Rauschenberg e il Nouveau Réalism di Martial Raysse. In altre parole, ribadiscono il quadro e il colore, ma lo contaminano con il piccolo oggetto quotidiano, attinto per lo più dal repertorio vintage dei rigattieri o dagli empori di "cose inutili" dei cinesi.
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(Martial Raysse) |
C'è per caso un intento particolare in questa ripresa da parte di Cabrini e del suo doppio di tecniche ormai collaudate?
Possiamo escluderlo.
Il bricolage di Cabrini e Solidago è per l'appunto un bricolage, cioè un'operazione "gratuita" e non contiene un programma nel momento in cui fa uso dell'assemblage.
Non a caso questa personale espone anche prove di scrittura. Mescolati ai quadri di pittura combinata e alle piccole installazioni troviamo infatti due romanzi degli stessi autori: Vero quasi vero (2014) e Il (suo) doppio (2015).
Si tratta di romanzi rigorosamente auto-prodotti, che sono orgogliosi di non aver bussato alla porta di nessun editore. A loro modo sono dei "pezzi unici", nel senso che la tiratura bassissima (50 copie l'uno) ne fa quasi dei manufatti artigianali e non dei prodotti in serie.
Il senso di questa co-presenza può essere facilmente frainteso. E non si escludono interpretazioni maliziose.
Gli autori per parte loro hanno voluto mescolare le carte per celebrare una sorta di happening: il vernissage, più che per esporre dei pezzi, è stato organizzato per dar vita a un racconto. In cui immagini, oggetti, parole, trame si intrecciano e collaborano a imbastire una sorta di tableau vivant.
Cabrini e Solidago sono concordi su una cosa: se l'attenzione del pubblico è ormai calamitata più dal personaggio (immagine) che dal suo lavoro (opera), perché non provare a rovesciare lo schema?
Ovverosia proporre un autore esordiente, ma anziano (Cabrini); un autore inesistente (Solidago) e un'opera che non si colloca in un punto preciso della mappa delle arti, perché a volte sposa il convenzionale (il quadro ad olio), altre volte civetta con il non artistico (l'oggetto), altre volte -con le micro installazioni- si espande in uno spazio ironico.
(l'inconscio della bambola) |
Si tratta, badate bene, di prodotti in tutti i casi volutamente "poveri", semplici, sobri. In controtendenza rispetto a un mondo artistico che è sempre più proiettato (sulla scia dei fratelli Chapman), in una conturbante corsa verso il post-human. O che si abbuffa di vuote immagini estetizzanti.
Alla fine, eccolo qui programma. Fare una mostra che si dipani come riposante racconto di villaggio. Che non nasce dal culto dello strapaese o dalla nostalgia delle lucciole. Ma nasce, in epoca di Expo, dal fastidio verso una internazionalizzazione culturale pilotata dal marketing.
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